La federazione calcistica della Giordania ha formalmente accusato quella iraniana di aver schierato in porta un uomo il 25 settembre 2021, in occasione del match valido per la qualificazione alla fase finale della Coppa d’Asia femminile, che si recupererà nei primi mesi del 2022. L’incontro ha visto a sorpresa la vittoria dell’Iran contro la Giordania: le due squadre erano appaiate in testa e con la stessa differenza reti e, per questo, al termine si sono battuti i tiri di rigore e proprio la portiera, la 31enne Zohreh Koudaei ne è stata grande protagonista, con due penalty neutralizzati.
Gli iraniani hanno minimizzato e hanno accusato i giordani di non saper perdere; la stessa Koudaei ha detto di sentirsi bullizzata e che già in passato aveva dovuto fronteggiare accuse di questo tipo.
Il principe giordano Ali bin al-Hussein, che è un pezzo grosso della FIFA ed è ovviamente anche capo della federazione del suo paese, ha rincarato le accuse dicendo che la squadra femminile dell’Iran è spesso coinvolta in questioni riguardanti il doping o il genere delle sue calciatrici.
Detta così sembra una diretta accusa verso gli iraniani che sfrutterebbero il velo per schierare uomini al posto di donne. Un singolare sotterfugio, visto che l’Iran è irrimediabilmente omofobo, ma non altrettanto transfobico: cambiare genere è possibile dal 1987, grazie a una fatwa emessa dall’Ayatollah Khomeini in persona.
Forse, più che legare l’assoluzione di Koudaei al fatto che sia biologicamente donna o una M2F, ci dovremmo chiedere qual è il posto riservato ai transgender nel calcio e nello sport.
In tale senso, Tokyo 2020 ha segnato un importante punto di non ritorno, con la partecipazione della neozelandese Laurel Hubbard alla gara olimpica della categoria femminile Oltre 87 kg del sollevamento pesi. Inoltre, a metà novembre 2021 il CIO ha diffuso le nuove linee guida che entreranno in vigore dopo l’Olimpiade invernale di Pechino e, in merito alle atlete transgender, stabiliscono che non si può in automatico assumere che una sportiva che abbia compiuto una transizione M2F sia avvantaggiata rispetto alle altre atlete donne.
Ciascuno sport, individualmente, può decidere di applicare delle restrizioni, ma solo se «c’è una robusta e condivisa produzione di articoli scientifici che dimostrino un vantaggio consistente e sproporzionato [per le transgender rispetto alle altre] o un effettivo rischio per la salute delle atlete».
Le linee guida dimostrano un importante cambio di prospettiva: transgender – e intersex – erano finora trattate alla stregua di dopate e dovevano a priori portare il livello di testosterone nel sangue al di sotto di una soglia stabilita a monte. Adesso, questa riduzione sarà necessaria solo se ci sono evidenze scientifiche di vantaggi per questa categoria di sportive nella singola disciplina o nella singola specialità.
In realtà, visto che il tutto vale anche per le atlete intersex, la World Athletics ha fatto trapelare l’intenzione di non cambiare le proprie attuali regole che impongono riduzioni per chi si cimenta nei 400m e negli 800m. Regole inserite ad hoc dopo i casi Semenya, Wambui, Niyonsabo. Quindi, tutto come prima? Siamo convinti di no.