Maria Canins racconta che, quando nel 1985 vinse la Vasaloppet, la premiarono con una falciatrice: era impossibile da portare a casa, perché lei e il marito dovevano tornare in aereo a Milano, e allora la scambiò con il set di coltelli svedesi che era stato consegnato al primo della gara maschile. Coltelli che non smette di elogiare a distanza di tanti anni.1
Gli organizzatori della più nota e lunga maratona di sci di fondo del mondo (90 km circa) non avevano, dunque, fatto poco caso al “genere” degli oggetti che stavano dando in premio: falciatrice alla vincitrice, set di coltelli al vincitore, a nessuno sarebbe venuto in mente nell’Italia di quaranta anni fa (e temo anche in quella di oggi), al di là di quale sponsor avesse versato più soldi. 

Eppure, erano passati solo quattro anni da quando la Vasaloppet aveva aperto alle donne e ce ne sarebbero voluti altri dodici perché anche alla prima donna a tagliare il traguardo fosse riservato l’onore di essere cinta con una corona di fiori, da un kransmas. Mentre una kranskulla, opportunamente scelta tra le bellezze del luogo, incoronava il più forte dei fondisti sin dal 1922, il primo anno in cui l’IFK Mora raccolse l’invito di un famoso giornalista del tempo, Anders Pers, a rievocare la fuga tentata da Gustav Vasa giusto quattrocento anni prima.2  

La prima edizione, la prima donna.
Il re di Danimarca e Norvegia Cristiano II aveva appena assoggettato la Svezia e aveva pensato bene di far fuori tutti i principali rappresentanti della nobiltà svedese. Anche i genitori di Gustav Vasa erano stati uccisi e il giovane 24enne si era tenuto alla larga da Stoccolma e, a Mora, piccola cittadina più a nord della capitale, aveva provato a convincere i nobili rimasti a resistere all’invasore. Gli era andata male e allora, sci ai piedi, si era diretto verso il confine norvegese, temendo fortemente per la sua vita. A Sälen, 90 km più in là, quelli di Mora lo raggiunsero per dirgli che ci avevano ripensato. Era il 1520, Gustav Vasa si mise a capo della ribellione e in tre anni riconquistò la Svezia, divenendone re.
Insomma, la Vasaloppet ideata da Pers nel 1922 non era una semplice scampagnata sugli sci di 90 km da Sälen a Mora, ma una gara sportiva3 che faceva leva sul sentimento nazionale e la proposta da questo ne trasse immediatamente forza. Anche perché almeno da una decina di anni la Svezia era diventata terreno fertile per l’uso dello sport a fini politici, vedi l’invenzione del dilettantismo di Stato in previsione dell’Olimpiade di Stoccolma del 1912.

Il primo che avrebbe tagliato il traguardo meritava pubblici elogi e, in puro stile De Coubertin, che pensava che le donne fossero buone solo per cingere d’alloro la fronte degli uomini vincitori, venne ideato l’invidiabile ruolo di kranskulla. Tanto invidiabile che la pagina di wikipedia in svedese dedicata alla Vasaloppet riporta il nome di tutte le kranskulla accanto al fondista che hanno avuto la fortuna di incoronare.
La prima donna della Vasaloppet è, dunque, una che premiò e non partecipò, Therése Eliasson. Però, già nel 1923 alla 25enne Margit Nordin di Karlstad venne voglia di correrla la gara e non di aspettare all’arrivo per vedere il vincitore e la sua kranskulla. Nordin arrivò dopo 10h 9′, tre ore e mezza dopo Oskar Lindberg e dopo tutti i colleghi maschi iscritti, eccetto i tre che si erano ritirati, ma arrivò. Ed era questo il vero problema per gli organizzatori.

Birgit Westhed come Katherine Switzer.
Nell’agosto del 1923 quelli dell’IFK Mora, appellandosi alle regole della federazione svedese che non permettevano alle donne di gareggiare su distanze superiori ai 10km, scrissero nero su bianco che nessuna fondista si sarebbe potuta iscrivere alla Vasaloppet. Anzi, nessuna «kavat fruntimmer», nessuna “donna rasata”, facendo intendere che solo un uomo poteva davvero aspirare a coprire i 90 km di gara senza subirne scompensi e che, quindi, Nordin era una sorta di uomo travestito da donna… (P.S.: Questa evidente fallacia logica vi ricorda qualcosa di molto più attuale?)

I passi successivi ricalcano da vicino quanto accaduto nel mondo dell’atletica alla maratona di Boston. Il divieto ufficiale continuò fino al 1980, ma ci furono le Bobbi Gibb che corsero travisate e in abbigliamenti maschili in mezzo ai partecipanti, il cui numero cresceva anno dopo anno. E ci fu la Kathrine Switzer di turno, che rivendicò pubblicamente la necessità di aggiornare le regole. Il suo nome è Brigitte Westhed. Nel 1978, insieme con la sua amica Britt Dohsé, si presentò alla partenza con dei baffi posticci, bofonchiò un nome maschile a chi raccoglieva le iscrizioni, indossò la pettorina 4118 e partì. Qualcuno, però, la notò (non era difficile) e la notizia che c’era una donna in gruppo cominciò a diffondersi. Jan Svanlund, un reporter, che seguiva la gara per la TV, la intercettò e la intervistò, lì in gara, in “flagranza di reato”. Arrivarono anche i giudici che non permisero alle due ragazze di continuare. 

Condotta alla presenza dei papaveri dell’organizzazione, Westhed difese la sua scelta di essere parte attiva della festa Vasaloppet, reclamò una gara aperta alle donne, uguale per lunghezza e tracciato a quella degli uomini, ma fu quell’intervista mandata e rimandata in TV a far smuovere davvero le acque. Così come nel caso di Switzer erano state le foto che immortalavano l’aggressione subita ad aprire la strada alla successiva partecipazione delle donne alla maratona di Boston.

Recupero del tempo perso. Anche in Coppa del Mondo.
L’effetto Westhed si fece sentire già nel 1979, quando venne organizzata una competizione “open track” aperta a tutti e tutte, ma senza riconoscimenti ufficiali per la prima donna al traguardo. Poi, nel 1981 arrivò la possibilità anche per le fondiste di partecipare alla vera Vasaloppet, con tanto di numero identificativo. Infine, nel 1997, la parificazione uomo-donna anche nella cerimonia ufficiale, con un bel kransmas a cingere con corona floreale la prima donna all’arrivo per far passare il messaggio che vincitrice e vincitore andavano messi sullo stesso piano.

Non ho contezza se qualcuna delle vincitrici ha mai ironizzato su questa equità di genere basata sull’inversione dei ruoli uomo-donna ritenuti naturali nel 1922. Alla fin fine la Svezia è uno di quei posti in cui le parole “libertà di orientamento sessuale” hanno un significato reale. Mi piace anche pensare che Maria Canins il suo kransmas l’avrebbe un po’ preso in giro, ma purtroppo la trentina ha vinto quando questa figura non era stata istituita. E allora non mi resta che chiudere con la solita considerazione agro-dolce.
Attualmente, il record di percorrenza femminile della Vasaloppet ce l’ha la norvegese Astrid Øyre Slind, che nel 2022 ci ha messo 3h50′ circa per coprire i 90 km da Sälen a Mora e che l’anno dopo è arrivata seconda, in volata, a Holmenkollen nella prima 50 km della storia della Coppa del Mondo di sci di fondo al femminile.
La FIS, la federazione internazionale che soprintende lo sci nordico, ci ha dunque messo cento anni per varare in autonomia la prima gara riservata alle donne con percorrenza di almeno 50 km!4
Questo è l’agro. Il dolce è che al Mondiale di Trondheim del 2025, al suo esordio in una manifestazione iridata, la 50 km femminile chiuderà il programma, collocazione d’onore riservata di norma all’equivalente gara maschile. E questo vale più dell’equivalenza kransmas-kranskulla.

Fonte (per la storia di Westhed): Birgitta åkte Vasaloppet 1978 – utklädd till man