Partite in conflitto.
Il Parco dei Principi apre spesso le sue porte al Paris Saint-Germain femminile quando c’è da giocare in Women’s Champions League. Nell’edizione 2023/24 lo ha fatto anche in occasione del match contro il Manchester United, che valeva solo per il secondo turno preliminare, ma era già decisivo. Infatti, le parigine in Première Ligue arrivano invariabilmente dietro l’Olympique Lione1 e devono pertanto guadagnarsi l’ingresso nella fase a gironi attraverso una pericolosa doppia sfida con un club che è arrivato secondo o terzo in un campionato europeo di livello. Un crocevia fondamentale perché partecipare alla massima competizione europea per club garantisce maggiore visibilità mediatica (e un introito base di 400mila euro).
Nella stagione 2024/25 il problema qualificazione si è ripresentato, solo che stavolta lo “spareggio” Paris Saint Germain-Juventus non si è giocato al Parco dei Principi, né tanto meno al Jean Bouin, altra struttura da 20mila posti usata spesso dalla compagine parigina.
È stato, invece, il ben più piccolo Campus PSG a ospitare l’incontro giovedì 26 settembre 2024 perché la squadra maschile doveva anticipare a venerdì 27 il suo match di Ligue 1 contro il Rennes. Le juventine avevano vinto 3-1 a Biella l’andata e hanno mostrato di essere più in palla delle avversarie anche nel match di ritorno (vinto poi 1-2), ma era strano vedere i rumorosi ultras di casa confinati in una piccola tribuna dello stadio-campus, incapaci di far sentire l’usuale apporto sonoro.

In questo sito parlo spesso del buon afflusso di pubblico in tanti match femminili di una certa importanza: per esempio, proprio al Parco dei Principi lo scorso aprile erano in 29mila per la semifinale di Women’s Champions League tra Paris Saint Germain e Olympique Lione. Resta, però, il fatto che un normale PSG-Rennes di Ligue 1 maschile ne fa 47mila di spettatori. Lecito, dunque, aspettarsi che, in caso di sovrapposizione, la società imponga alla squadra femminile di “emigrare”, anche se la sua partita (vedi il match contro la Juventus) è più importante nell’economia della stagione.
Una simile situazione di partite in conflitto costringerà mercoledì 18 dicembre 2024 le Arsenal Ladies a giocare il match di cartello contro il Bayern Monaco allo stadio di Borehamwood e non all’Emirates Stadium, che quel giorno serve alla squadra maschile per l’incontro di Coppa di Lega contro il Crystal Palace.

Legate al calcio degli uomini, subordinate ad esso.
Arsenal, Paris Saint-Germain, Barcellona, Chelsea, Olympique Lione, Manchester City, Bayern Monaco, Juventus e Roma: tutte le squadre femminili, che vengono in mente, che ricoprono un ruolo fondamentale nello scacchiere europeo e internazionale, che vincono trofei in patria, sono le controparti di importanti club maschili2. E sono state direttive che venivano dall’alto (FIFA in primis, UEFA poi) a spingere molti di questi club a investire nel settore women.
Di più: sono sempre federazione internazionale e continentale a veicolare l’idea che il calcio al femminile possa crescere solo ricalcando pedissequamente le orme lasciate dal calcio al maschile negli anni addietro. Da qui il Mondiale prima a 24 squadre (edizioni 2015 e 2019) e poi a 32 (dal 2023), la creazione della UEFA Women’s Nations League (2022), la proposta di una Club World Cup femminile (prima edizione prevista nel 2026), la Champions League con la fase a gironi (dalla stagione 2021/22), una seconda coppa europea che la affianchi (dal prossimo anno)…
E poi, ancora, le partite delle varie competizioni nazionali e internazionali per club spalmate su più giorni, a varie ore del giorno, in puro stile spezzatino, lasciando intendere che i diritti tv o streaming sono più importanti di uno stadio pieno.

Il controsenso è che sono tuttora in aumento gli spazi che si va accaparrando il football giocato dagli uomini e che a farli aumentare sono gli stessi organismi internazionali, che parlano di visibilità da dare alle donne.
L’annata 2024/25 in corso sarà tristemente ricordata come quella in cui la UEFA Champions League ha aggiunto quattro partite (due per il girone unico a gennaio più uno spareggio su doppia partita a febbraio), in cui la UEFA Nations League ha aggiunto i quarti di finale a marzo e in cui la FIFA ha imposto la prima edizione a 32 squadre della sua Club World Cup da metà giugno a metà luglio. Il tutto accompagnato dalla volontà delle federazioni nazionali di non cedere il passo e varare campionati con meno squadre3.
Quindi, sulla carta attori e attrici corrispondono sempre più, ma sono le squadre e le competizioni femminili a doversi adattare, andando a riempire i buchi a loro dedicati da coloro che decidono date e calendari.4 E coloro che decidono sono in larghissima parte uomini, hanno interessi finanziari e commerciali in ballo, parlano di calcio (e sport in genere) non in termini di diritti, ma di introiti, sponsorizzazioni e visibilità e, pertanto, giudicheranno sempre logico sacrificare la partecipazione alla massima competizione per club della propria squadra femminile perché c’è da anticipare al venerdì una partita di campionato maschile, che fa molti più spettatori allo stadio e in pay tv.
Insomma, capitalismo e patriarcato che si alimentano a vicenda, nel calcio così come in tanti altri settori della società.
Il problema è che in casa FIFA, ogni giorno di più, capitalismo più patriarcato fa Aramco, dal momento che la compagnia petrolifera di Stato dell’Arabia Saudita è diventata main sponsor della federazione internazionale e Riyadh ha avuto la strada spianata per accaparrarsi l’organizzazione del Mondiale maschile del 2034. 

No Arabs, no football
Sul canale youtube DAZN Women’s Football si possono vedere in diretta alcuni match di Women’s Champions League, di Liga Femenina e di Frauen Bundesliga, ma anche incontri tipo Al Taraji-Al Amal, perché da ottobre 2023 la nota piattaforma di intrattenimento britannica ha acquisito i diritti della Saudi Women’s Premier League, campionato che ha aperto i battenti solo nel 2022.
Questo raffinato “pinkwashing”, fruibile in diretta streaming, è indice di quanto pervasiva sia diventata, in tutto l’universo del pallone, la narrazione secondo cui in Arabia Saudita si sta facendo tanto per migliorare la situazione femminile. Ma, attenzione, ancor più della monarchia dei Bin Salman, a volersi lavare la coscienza è la FIFA, che nel rapporto ufficiale sulla candidatura del Paese del Golfo Persico a organizzatore del Mondiale del 2034 è arrivata a scrivere che lì c’è appena un rischio “medio” di violazioni dei diritti umani!
Chissà cosa deve accadere perché il rischio sia considerato “alto”. Di certo, non si deve avere a che fare con uno di quei Paesi da cui provengono i soldi che rendono al momento sostenibile l’insostenibile circolo vizioso in cui il mondo del pallone si è cacciato. Un mondo divenuto alfiere del mantra capitalistico per cui è vitale per il sistema espandere all’infinito orizzonti, mercati, bisogni, passando sopra questioni quali diritti delle donne, diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, sostenibilità ambientale. 

Ora, tra le giocatrici di alto livello ce ne sono tante che su questi temi sono molto sensibili, anche per questioni di vissuto personale. Non a caso, in 133 hanno sottoscritto a ottobre 2024 una lettera che è un vero atto d’accusa nei confronti della FIFA e della sua scellerata idea di fare di Aramco il principale sponsor del prossimo Mondiale femminile. 
A Zurigo hanno finora bellamente ignorato il tutto, confidando -evidentemente- nel fatto che anche il mondo del calcio al femminile virerà sulla realpolitik e prenderà ben presto coscienza che crescere ancora in visibilità e appeal non si può senza turarsi il naso sulla provenienza dei denari che permettono di andare avanti. 

Tutto questo evoca infausti presagi. Se ha ragione la FIFA, tra qualche anno, calciatrici simbolo della comunità LGBTQ+ potrebbero alzare trofei gentilmente offerti da fondi provenienti da Stati in cui l’omosessualità è reato, rubando al women’s football quella componente di rivendicazione sociale che ha reso persone come Megan Rapinoe un punto di riferimento. Se, invece, le proteste e le richieste contro Aramco e questo genere di sponsorizzazioni dovessero prendere più corpo, allora la FIFA -che ha il rubinetto dalla parte della manopola- potrebbe smettere di considerare prioritario lo sviluppo del calcio al femminile.
Tertium datur? Forse, ma solo in un mondo in cui a prendere decisioni importanti su cosa è meglio per il football giocato dalle donne siano in maggioranza donne.

Immagine in evidenza: Estratto dal rapporto FIFA sulla candidatura dell’Arabia Saudita