Viaggio a Madrid

«Proseguendo lungo questa via vedrete a un certo punto sorgere un’architettura profana, capace di ospitare 80mila persone. Una struttura ectoplasmatica il cui esterno è interamente in titanio».
La guida spagnola, che sta illustrando in italiano i principali monumenti di Madrid, è affascinata dalla musicalità della nostra lingua e per questo utilizza spesso termini ricercati come “eterotipico” o completamente inventati come “silupidico”. Anche “ectoplasmatico” è usato a profusione, ma solo quando si passa vicino a una scultura o a un’architettura inserita di recente nel panorama urbano, quasi a suggerire che queste opere moderne sono così poco consistenti che, guardandole da fuori, a stento se ne percepisce la sostanza (e a volte anche l’essenza). In effetti, ha senso dare dell’ectoplasmatico al nuovo Santiago Bernabéu al titanio, specie se lo si confronta con il vecchio Bernabéu in cemento che per più di sessanta anni ha ben rappresentato l’importanza e l’ingombranza sportiva del Real Madrid nel suo contesto di riferimento. Il fatto è che quel contesto adesso è cambiato, come ben sanno tutti i grandi club che hanno ormai interessi e giro d’affari degni di una multinazionale. Quindi, ci sta che la casa dei blancos debba rifarsi il look e apparire all’avanguardia, accogliente, multifunzionale.

Non ci si deve, però, fermare all’esterno del Bernabéu: entrarci serve a capire come ha deciso di raccontare il suo presente e il suo passato il Real Madrid, che è poi uno dei motivi per cui la capitale spagnola è conosciuta nel mondo sin dalla seconda metà del secolo scorso.
A proposito, a Madrid, non sono da solo, sono in viaggio d’istruzione con le classi quinte e già in sede di progettazione del viaggio ho specificato che avrei portato a fare il tour dello stadio chiunque avesse voluto. Certo, per uno che fa ricerca in storia dello sport, è un po’ noioso dover spiegare che il tutto ha valenza didattica, che il Santiago Bernabéu non è solo un posto in cui si gioca a pallone / si possono ammirare 14 Coppe dei Campioni-Champions League / si vendono magliette a 150 euro. Del resto, è dedicato a uno che, prima di diventare presidente del club, fece la Guerra civile spagnola nelle fila delle falangi franchiste e, nonostante questo, nessuno ha intenzione di cambiare quel nome.

Ad ogni modo, proprio perché la narrazione mainstream tende volutamente a ignorare qualsiasi elemento che possa collegare lo sport alla “politica”, ho fatto una lezione preparatoria ai ragazzi e alle ragazze che sono venute con me a visitare lo stadio. Ho parlato loro del momento in cui il club de socios Madrid F.C. è nato; ho raccontato di come è diventato Real per volere del sovrano nel 1920, della lunga presidenza di Santiago Bernabéu e del rapporto basato sulla comunione d’intenti tra blancos e franchismo; ho, infine, ricordato quando è iniziata la rivalità con il Barcellona e come questo abbia contribuito alla costruzione di un’identità ben definita per ambo i club: laddove i blaugrana hanno sempre puntato sulla catalinidad come fattore distintivo (e il fatto che questa sia per certi versi una forzatura1 rende il museo ospitato nella pancia del Camp Nou infinitamente interessante), il Real Madrid si è preoccupato in primis di apparire come una squadra vincente, soprattutto al di fuori dei suoi confini, cosa che di riflesso ha dato lustro prima alla Spagna di Franco e poi a quella post-franchista. Non a caso, che la FIFA l’abbia eletto “miglior squadra del XX secolo” è scritto un po’ ovunque all’interno del Bernabéu.

Alunni e alunne hanno sicuralmente un po’ sofferto la strana lezione di storia dello sport, tenuta per di più in metro e sui gradini dello stadio dal loro prof di matematica, ma poi hanno apprezzato la diversa chiave di lettura offerta, visto che -compatibilmente con l’identità scelta per sé dai blancos– nel museo madrilista si indugia ben poco sul contesto storico cui coppe, trofei, cimeli esposti sono collegati.  
Di più facile lettura si rivelano, invece, alcuni richiami all’immagine che attualmente il club vuol dare di sé all’esterno e in cui ci imbattiamo nel corso del tour. Decisamente d’effetto è la ricostruzione computerizzata che fa vedere come il prato verde su cui si gioca a pallone possa sparire in poche ore e un campo da basket/un campo da tennis/un palco per mega concerti possa comparire al suo posto, perché lo stadio dev’essere un punto di riferimento e di ritrovo per tutta la comunità. Acchiappa-like (o, meglio, orientati a rinforzare il brand Real Madrid) sono, invece, i vari contributi filmati che narrano dell’impegno nel sociale e per la sostenibilità della Fondazione omonima, perché chiunque ha il diritto di sognare di vestire un giorno la maglietta dei blancos, indipendentemente dal posto in cui nasce.
Chiunque, bambini e bambine. E, in effetti, il giorno dopo a Toledo, constaterò la presenza di un buon numero di ragazzine in un gruppo di partecipanti a uno school camp organizzato dal Real Madrid. Per quanto riguarda la (non) disparità di genere, le cose vanno, quindi, viste in prospettiva? Perché, al momento, il tour dello stadio non offre alcuna traccia palpabile della squadra femminile di calcio, che è nata nel 20202, gioca lontana dal centro e soffre terribilmente lo strapotere del Barcellona campione di Spagna e d’Europa.3. Solo nel reparto merchandising compare la foto di qualche giocatrice attuale (Andés, Caicedo, Abelleira), anche se non sono in vendita magliette personalizzate.  
Ora, è chiaro che non avendo vinto ancora nulla come club, non si possono esporre trofei, ma perché non dire che c’erano madriliste tra le calciatrici che hanno vinto il Mondiale 2023 con la maglia della Spagna? perché non rivendicare il fatto che il gol vincente nella semifinale contro l’Olanda e nella finale contro l’Inghilterra l’ha segnato Olga Carmona, esterna del Real femenino?

Ah, già, so che vi state preoccupando per i miei alunni e le mie alunne. In effetti, avevo chiesto loro come compito di educazione civica di segnalarmi qualsiasi cosa avessero visto nel museo di collegabile al rapporto tra calcio e genere (anche perché al Camp Nou, agli occhi dei ragazzi del quinto dello scorso anno, la maglia di Aitana Bonmatì o i due palloni d’oro di Putellas non erano passati inosservati). Però, vista la scarsità di elementi , li ho assolti in corso d’opera e li ho lasciati liberi di dedicarsi alla ricerca del gadget giusto. Cosa che, in realtà, ha determinato a sua volta una differenza di genere, visto che i ragazzi hanno investito i loro averi in magliette o in gadget del Real Madrid meno impattanti sul portafoglio, mentre le ragazze sono fuggite da Primark appena hanno potuto. E va a finire che, per questioni di educazione civica, la prossima volta toccherà a me seguire loro.

Qualche foto scattata all’interno del Bernabéu ai -pochi- richiami al Real femminile o a questioni di genere:

Nel reparto merchandising - 2

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Athenea e Kroos invogliano a comprar magliette