Enciclopedia delle sportive: Voce n°2/261
Ciascuna voce è costituita da un’introduzione che funge da inquadramento storico per i risultati raggiunti dalle donne di cui è riportata una biografia essenziale
Nell’immagine in evidenza: Gara femminile a Bordeaux, novembre 1868, Le Monde Illustré
L’attivista americana per i diritti delle donne Susan Anthony (1820-1906) in un’intervista al New York World del febbraio 1896 disse che la bicicletta era lo strumento che aveva contribuito all’emancipazione delle donne più di qualsiasi altra cosa al mondo, perché dava loro una sensazione di libertà e di fiducia in se stesse.
Anthony si riferiva alla cosiddetta safety bicycle, il modello con la trasmissione a catena e con il sellino posto tra la due ruote: la bici come la conosciamo noi, in sostanza. Eppure prima ancora che la Starley & Sutton co. di Coventry nel 1885 mettesse in produzione questa “bicicletta di sicurezza” che in pochi anni avrebbe conquistato anche l’America, alcune donne avevano raggiunto la notorietà sfidandosi in pista sulle ordinary bicycle, anzi sulle high-wheel bicycle che avevano la ruota anteriore molto più grande di quella posteriore e “ordinarie” non sarebbero più state già alla fine del XIX secolo.
In principio era stata la Laufmaschine, la “macchina per correre” costruita nel 1817 dal tedesco Karl Drais (1785-1851) e commercializzata con il nome di draisina, in omaggio al suo inventore. Era un velocipede, nel senso che aveva un manubrio, un freno anteriore, due ruote collegate da una scocca di legno, ma non i pedali: chi la conduceva si metteva in piedi, tra le due ruote, e la azionava camminando. Per vedere i primi bicicli con le pedivelle si dovette attendere un po’. L’idea di mettere due poggiapiedi mobili, in asse con la ruota anteriore e in grado di azionarla, venne nel 1861 al francese Pierre Michaux (1813-1883) e fu realizzata in collaborazione con il figlio Ernest Michaux (1842-1882). Era nata l’o.b., di cui la versione nota come high-wheel bicycle, “bicicletta con la ruota alta”, fu l’evoluzione successiva: visto che a ogni pedalata corrispondeva uno spostamento proporzionale alla circonferenza della ruota davanti, aumentarne le dimensioni (riducendo quelle della ruota dietro) garantiva una maggiore efficienza. Certo, il sellino era molto più in alto e questo aumentava le doti di equilibrio richieste a chi si metteva alla guida, nonché il rischio di farsi male in caso di caduta.
Con la diffusione dell’o.b. iniziarono a essere organizzate sfide ciclistiche sulle brevi distanze in circuiti, magari ricavati all’interno di parchi cittadini. Il 1° novembre del 1868, al Parc Bordelais di Bordeaux, una non meglio specificata Mademoiselle Julie batté tre colleghe in quella che è la prima gara ciclistica riservata alle donne di cui si abbia notizia. La Parigi-Rouen del 1869 inaugurò, invece, la tradizione delle corse su strada o, più precisamente, delle corse che utilizzavano anche strade extracittadine e venne portata a termine anche da una donna (v. Elizabeth SARTI TURNER), accompagnata. Non è semplice capire se furono casi isolati. Di certo, in Francia e, in genere, in Europa la partecipazione femminile a gare ciclistiche non divenne una costante al tempo delle o.b..
Oltre Oceano le cose andarono in modo diverso, anche perché la strada a spettacoli che mettessero alla prova le capacità di resistenza delle donne era già stata aperta dalle Sei Giorni di pedonalismo al femminile disputate a New York e a San Francisco a fine anni Settanta del XIX secolo. Non a caso, erano state in precedenza pedestrienne alcune delle più celebrate high-wheelers, che tra il 1882 e il 1889 si esibirono in pista, negli Stati Uniti (v. Elsa von BLUMEN, Louise ARMAINDO). Cinque delle più forti “americane” a fine 1889 andarono poi in Inghilterra, in tourné, e furono coinvolte anche in sfide uomini vs. donne (v. Lottie STANLEY). Il tempo delle o.b. e delle high-wheel era, però, finito. Quello del ciclismo femminile su pista avrebbe resistito solo un’altra decina di anni.
Elizabeth SARTI TURNER (fine prima metà XIX sec.-seconda metà XIX sec.)
naz.: Regno Unito (?)
– Partecipa alla prima gara ciclistica che collega due città diverse (1869)
La Parigi-Rouen del 7 novembre 1869 è la prima gara nella storia del ciclismo a collegare due città diverse. L’inglese-parigino James Moore copre il percorso di 123 km in 10 ore e 40 minuti e guadagna così l’ambito premio di mille franchi.
Sotto lo pseudonimo “Miss America” alla competizione si iscrive anche E.S.T., che è inglese anche lei e fa tutto il tragitto scortata da un amico, un certo Taboureau, e dal marito Rowley Turner, l’uomo che, di fatto, ha introdotto l’o.b. nel Regno Unito.
Moore giunge a Rouen alle 18:10; E.S.T., coniuge e amico rinunciano a coprire gli ultimi venti chilometri di notte, decidono di pernottare a Pont de l’Arche e arrivano alle 6:20 del giorno successivo, l’8 novembre, classificandosi ex aequo al ventinovesimo posto. Tre ciclisti uomini giungeranno al traguardo dopo di loro.
“Miss America” vince il premio speciale che l’organizzazione ha riservato alle donne in grado di concludere la prova in meno di ventiquattro ore. Un premio che non è noto, ma che plausibilmente non è in denaro.
1869, Una corsa di velocipedi in Francia, Le Vélocipède illustré
Elsa von BLUMEN (1859-1935)
naz.: Stati Uniti
– Pedala per sei giorni consecutivi in un velodromo, percorrendo 1000 miglia (1881)
Si racconta che Caroline Kiner abbia iniziato a percorrere lunghe distanze a piedi per esercizio, per migliorare la sua salute cagionevole. Nel 1881, quando a Rochester, di fronte a 2500 spettatori, sale in sella al suo velocipede e batte in una sfida un cavallo chiamato “Hattie R.” o quando, sempre in bici, alla Old City Hall Track di Pittsburgh percorre 1000 miglia in sei giorni, Caroline Kiner è già diventata E.v.B., ha lasciato il pedonalismo e si guadagna da vivere grazie alla sua o.b.. Facendo guadagnare chi le sue performance organizza.
Nel 1882 Louise Armaindo la batte a Philadelphia in quella che per i giornali è la sfida per diventare campionessa. Del mondo, ovviamente. La carriera di E.v.B. non finisce con quella sconfitta, né con il divorzio dal suo primo marito. A inizio 1889 E.v.B. è attesa, infatti, al Madison Square Garden per una Sei Giorni tutta al femminile; Sporting Life la presenta come campionessa in carica e un annuncio la definisce “campionessa del mondo delle 2000 miglia”, segno che a quasi trent’anni non ha ancora smesso di correre e vincere.
Louise ARMAINDO (1861-1900)
naz.: Canada
– Batte Elsa von Blumen in una sfida di sei giorni a Philadelphia (1882)
– Vince il campionato di Chicago battendo due ciclisti (1883)
L.A. ha iniziato con il pedonalismo, come la sua prima grande avversaria, Elsa von Blumen, battuta al Ridgeway Park di Philadelphia tra il 17 e il 22 luglio 1882 in quella che può essere considerata la prima Sei Giorni al femminile della storia del ciclismo, anche se in gara erano solo loro in due. L’anno dopo, al campionato di Chicago, in occasione di un’altra Sei Giorni, L.A. percorre 843 miglia in sella al suo velocipede e sconfigge due colleghi maschi, Morgan e Woodside. Anche l’American Phrenological Journal and Life Illustrated si interessa di lei, descrivendola come una giovane donna magnificamente sviluppata.
Quando nel 1889 L.A. si reca in Inghilterra per mostrare che anche le donne possono sfidarsi su pista, lo Sheffield & Rotherham Independent la presenta a ben ragione come «the oldest professional lady rider in the world». Con lei ci sono altre quattro cicliste americane, più giovani, e qualcuna va più forte di lei. L’oblio in cui cadranno i primati stabiliti da L.A. non dipenderà, però, dalla trasferta inglese, meno fortunata del previsto: non appena gli spettatori uomini dello spettacolo offerto dalle cicliste in pista non sapranno che farsene, perché assuefatti o perché interessati ad altre modalità di oggetivazione del corpo femminile, il primo momento in cui a donne era stato riconosciuto lo status di atlete, addirittura professioniste, verrà cancellato dalla storia del ciclismo.
Lottie STANLEY (1871?-?)
naz.: Canada
– Vince la Sei Giorni del Madison Square Garden (febbraio 1889)
– Dal settembre 1889 al gennaio 1890 è protagonista di un tour nel Regno Unito insieme con Louise Armaindo e altre tre cicliste americane
«La signorina Lottie Stanley, di Pittsburgh, ha 18 anni ed è campionessa del mondo delle 48-ore, nonché detentrice della medaglia della Police Gazette con un record di 679 miglia percorse». Lo Sheffield & Rotherham Independent presenta così nel dicembre 1889 la più promettente delle cinque “stelle americane” che hanno attraversato l’Oceano per mostrare agli inglesi che anche le donne possono sfidarsi su pista e pedalare per tante ore di seguito.
Un mese prima, L.S. ha vinto di misura su Jesse Wood la Sei Giorni disputata a Sunderland. In quell’occasione il Sunderland Daily Echo ha offerto ai suoi lettori una dettagliata cronaca giornaliera di quanto stava avvenendo al velodromo, non mancando di sottolineare nell’articolo conclusivo come le prime due arrivate avessero migliorato il record stabilito negli Stati Uniti da Lessie Williams. Sono, però, i titoli dei primi due pezzi («The Lady Ciclists – Serious accident» e «The Lady Ciclists – Another accident») a far sorgere qualche interrogativo: dietro la linea editoriale scelta dal quotidiano c’era una strategia di marketing, tipo andate a vedere le cicliste perché lo spettacolo lo fanno anche le cadute di gruppo? o c’era un’inconscia volontà protettiva nei confronti di queste donne che si cimentavano in cose da uomini, rischiando di farsi male?
Che poi guidare la cosiddetta penny-farthing in gruppo doveva essere tutt’altro che facile, vista la grandezza della ruota davanti e il precario equilibrio del mezzo…
Uno schizzo delle più note cicliste al tempo delle o.b.
Fonti:
- K. Lankeshofe, Rochester’s Rich History – Elsa Von Blumen: Rochester’s Forgotten Female Athlete, www.youtube.com
- J. Gates, Muscle on Wheels, dustymusette.blogspot.com
- Six days cicle race, Women’s races – 1889 Sunderland, www.sixday.org.uk