Enciclopedia delle sportive: Passo zero

Nel suo libro From Ritual to Record: The Nature of Modern Sports il saggista americano Allen Guttmann individua quelle che secondo lui sono le sette principali caratteristiche che differenziano lo sport moderno da quanto si era visto nell’antica Grecia, nelle civiltà precolombiane o in Europa, prima che iniziasse il processo di industrializzazione della società:

  1. La secolarizzazione, ovvero il progressivo svincolo da tutto ciò che nei giochi nelle età precedenti era di carattere rituale o atteneva al sacro, come, ad esempio, la disputa di gare solo in occasione di feste religiose; 
  2. L’uguaglianza, intesa come stesse opportunità di competere e stesse condizioni per tutti nel corso della competizione;
  3. La specializzazione dei ruoli, che è alla base dell’idea che si possa fare dello sport una professione;
  4. La razionalizzazione, processo di cui fa parte la ricerca di regole condivise dai contendenti in modo che il tutto sia anche maggiormente fruibile all’esterno; 
  5. La burocratizzazione, una razionalizzazione che avviene a livello più alto nel momento in cui si creano enti/organizzazioni con l’obiettivo di gestire tutto ciò che a che fare con una data disciplina;
  6. La quantificazione, ossia la necessità di misurare le prestazioni dei singoli per stilare classifiche il più possibili oggettive;
  7. La ricerca dei record, l’ultimo stadio del processo di trasformazione da rito a sport moderno, che assicura a chi stabilisce un primato «una forma esclusivamente moderna di immortalità». Perché «una volta che gli dei sono svaniti dal Monte Olimpo o dal Paradiso di Dante non possiamo più correre al fine di placarli o di salvare la nostra anima, ma possiamo [solo] stabilire un nuovo record». 

From Ritual to Sports è del 1978, è stato ripubblicato più volte e nel 2004 Guttmann ne ha fatto una nuova edizione, perché nel frattempo il libro era divenuto un vero classico, un punto di riferimento per chi studia storia dello sport. E, probabilmente, lo era diventato grazie a questo elenco, grazie a questa categorizzazione che ha spinto gli studiosi o i semplici lettori a confrontarsi con essa, alla ricerca di caratteristiche da aggiungere o di gerarchie da fare tra le caratteristiche elencate.

Alle prese con le origini dello sport al femminile o, meglio, intenzionato a capire le biografie di quali donne del XIX secolo inserire in una ipotetica “Enciclopedia delle sportive“, anche io mi sono imbattuto nel dettame guttmanniano.
Ciò che il saggista americano chiama secolarizzazione mi sembra qualcosa di davvero necessario a che si possa entrare in una dimensione “proto-sportiva”, a maggior ragione se si parla di donne: per secoli, per millenni le loro possibilità di azione, ancor più di quelle degli uomini, sono state limitate da una serie di precetti morali fondati su una visione religiosa che assegnava loro un ruolo marginale nella vita pubblica e le relegava nella sfera domestica. 
Se, ad esempio, per i cavalieri dell’età cortese era lecito sfidarsi in occasione di tornei e giostre, alle dame era permesso solo di assistervi o, al più, era concesso l’onore di venire offerta come premio al vincitore. Invece, le donne che in Gran Bretagna nel corso del XIX secolo sfidavano i propri limiti camminando per miglia e miglia, lo facevano in autonomia, per il semplice gusto di farlo o per mostrare agli uomini le proprie capacità, ponendo le basi per rivendicare in futuro un diverso ruolo all’interno della società.

Tuttavia, se una attività fisica va considerata sport (in senso moderno) solo nel momento in cui soddisfa tutte le caratteristiche individuate dal saggista americano, allora una donna si può considerare sportiva solo se partecipa a una competizione codificata da regole ben precise e condivise, in cui la sua prestazione sia ufficialmente misurata?1
A questa (mia) domanda ho scelto di rispondere no per motivi di carattere storico, sociale, di genere. La storia degli sport ci insegna, infatti, che proprio la creazione di organismi nazionali o internazionali aumentò l’esclusione dalle donne dalla pratica di molte discipline a livello agonistico, anche attraverso la produzione di divieti ad hoc. Basti pensare a cosa accadde nel ciclismo su pista o nell’automobilismo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del XX secolo.
Questo perché ci si rifaceva a quanto di “meglio” offriva la società patriarcale nel momento in cui, all’interno di una data disciplina, si ravvisava l’esigenza di mettere nero su bianco regole più generali o di istituire enti che controllassero il tutto.
Se, dunque, la burocratizzazione indicata da Guttmann al punto 5 si può considerare un passaggio necessario per far sì che, ad esempio, l’attività del prendersi a pugni intraprendesse la strada per diventare la boxe che tutti conosciamo (mi riferisco, in particolare, alle cosidette Broughton rules del 1743), la stessa burocratizzazione diventò un passaggio chiave per confinare i combattimenti tra donne, popolari nella Londra della prima metà del XVIII secolo, a spettacoli di infimo ordine, buoni solo per scommetterci su.   
Ergo, visto che non fu certo per loro volontà che le donne sarebbero rimaste per molto tempo escluse dalla pratica agonistica di numerosi sport moderni, un qualunque tentativo di irrompere in un mondo che gli uomini si stavano costruendo a loro immagine e somiglianza e che ha lasciato traccia sui giornali del tempo o nella memoria collettiva, dà secondo me a chi lo ha effettuato il diritto di essere considerata sportiva a tutti gli effetti. Che si parli di Emma Sharp che nel 1864 percorse un miglio ogni ora per mille ore consecutive2 o di Annie Londonderry che nel 1894 partì da sola, in bici, e in un anno girò tutto il mondo.

P.S.:
In realtà, il progetto di enciclopedia di cui sopra non è poi così tanto ipotetico. Mi ronza in testa da tempo e perciò ho deciso di dedicarmici, pur sapendo che non avrà mai una struttura definitiva e che, pertanto, non vedrà mai veramente la luce. Un po’ come il “Machiavelli” per René Ferretti. Con la differenza che al personaggio della serie tv Boris era stata la Rai a commissionare l’opera che di fatto non rientrava nei piani dell’azienda; mentre in questo caso sono stato io a essermela auto-assegnata.
Ma chi l’ha detto che di una “Enciclopedia delle sportive” non se ne possa fare una versione-per-blog in duecentosessantuno comode voci?

 

Nell’immagine in evidenza: Un cavaliere inglese si congeda dalla sua dama, Salterio di Luttrell, XIV secolo, British Library, Londra