Speciale 25 aprile: donne, sportive, partigiane. 3° puntata
Solo di recente la storiografia ha cominciato a occuparsi del rilevante contributo dato dalle donne alla Resistenza contro il nazifascismo e del perché questa parte della Storia sia stata rimossa dalle cronache ufficiali. Ma quante di queste donne che seppero “scegliere la parte” avevano sperimentato prime forme di indipendenza e presa di coscienza attraverso la partecipazione ad attività sportive, osteggiate o incoraggiate dal regime che fossero?
Aprile 1945. Soldati della Wehrmacht salgono le scale del palazzo della SIP, la Società Idroelettrica Piemontese: hanno dei messaggi importanti da trasmettere al Comando di Milano e sono costretti a ricorrere alla linea interna dell’azienda, l’unica ancora in grado di comunicare fuori città. A differenza di quanto accadrà a Milano, a Torino i tedeschi hanno tutta l’intenzione di combattere, assieme ai loro alleati repubblichini, nel tentativo di sfuggire alla Liberazione. Ma il loro destino sarà ugualmente segnato.
Arrivati nell’ufficio di Attilio Pacces (il direttore della SIP, già arrestato per attività antifascista), ecco ad accogliere i soldati l’assai elegante segretaria Lydia. Lydia Bongiovanni, coniugata Siviero. Nove anni prima, a Berlino (qualcuno di loro c’era), faceva parte della staffetta olimpica azzurra 4x100m: era stata la prima frazionista, quella chiamata a passare poi il testimone alla famosissima Ondina Valla, che i locali però chiamavano col suo nome di battesimo, Trebisonda.
Lydia, che non era un’atleta pari alla bolognese Valla o alla sua amica-avversaria Claudia Testoni, e che era ritornata nel giro della Nazionale un po’ a sorpresa in quel 1936, non aveva corso al meglio, forse anche perché devastata dalla notizia della morte del padre Beniamino, recapitatale direttamente al Villaggio Olimpico1.
Passando il testimone a Ondina, Lydia lasciò le azzurre al quinto posto, dietro le olandesi: poi le due bolognesi e la torinese Fernanda Bullano riuscirono a portare le azzurre al nuovo record nazionale e a un quarto posto finale assolutamente insperato alla vigilia.
Probabilmente nel 1945, mentre offriva loro thè e pasticcini, Lydia si sarà sentita raccontare la versione tedesca della gara, immortalata in una scena di Olympia di Leni Riefenstahl: Hitler e pubblico disperati per l’ultimo cambio delle loro velociste fino a quel momento in testa, la caduta del testimone, la vittoria finale delle statunitensi. Fra un ricordo e l’altro, conquistata la fiducia dei propri ospiti teutonici, l’ex azzurra, che aveva iniziato nella Società Ginnastica Torinese, era passata poi al GUF Torino e aveva concluso la carriera sotto i colori del Dopolavoro Aziendale SIP (DAS), chiede – come di rito – se abbiano un nuovo messaggio da trasmettere. Chiama nel frattempo Levio, il ragazzo quindicenne che fa da staffetta fra l’ufficio di Pacces e la sala trasmissioni. I tedeschi consegnano il biglietto, ritornando per un attimo seri e duri: si tratta di un messaggio importante, e molto riservato. Lydia, mantiene il sangue freddo, risponde con un sorriso e rassicura i propri interlocutori. Non sanno che lei, Levio e tutti gli addetti alla sala trasmissioni appartengono alla brigata SAP “Mingione”, sottodistaccamento Arduino (lo stesso della più giovane Elda Franco). Lydia è al comando della formazione, con il grado di tenente, assieme al papà di Levio, Vezio Bottazzi. Ed è grazie sul suo coraggio e ai suoi nervi saldi da ex staffettista alle Olimpiadi se la Resistenza torinese apre una falla nelle comunicazioni del nemico durante i decisivi giorni dell’Insurrezione di Torino2.
Nella foto in evidenza: La squadra femminile italiana di atletica all’Olimpiade di Berlino 1936. Le atlete, da sinistra: Gabre Gabric; Ondina Valla; Claudia Testoni; Lydia Bongiovanni; Gina Duvillard; Fernanda Bullano; Franca Agorni. Fonte: cartolinedalventennio.it.