Speciale 25 aprile: donne, sportive, partigiane. 2° puntata
Solo di recente la storiografia ha cominciato a occuparsi del rilevante contributo dato dalle donne alla Resistenza contro il nazifascismo e del perché questa parte della Storia sia stata rimossa dalle cronache ufficiali. Ma quante di queste donne che seppero “scegliere la parte” avevano sperimentato prime forme di indipendenza e presa di coscienza attraverso la partecipazione ad attività sportive, osteggiate o incoraggiate dal regime che fossero?
Fine settembre 1942. Le sorti belliche dell’Asse scricchiolano sempre di più, eppure Milano, che un mese dopo verrà pesantemente bombardata dagli inglesi, accoglie sportivi e sportive da tutti i paesi alleati della Germania nazista e dell’Italia ancora fascista: Ungheria, Croazia, Paesi Bassi, Slovacchia, Spagna, Belgio, Danimarca, Norvegia e Bulgaria.
Ragazzi ma soprattutto ragazze, che sfilano per le vie della città durante la cerimonia di apertura, chi in divisa, chi in abiti tradizionali. Sono i partecipanti alla prima (e ultima) edizione dei Campionati Sportivi della Gioventù Europea, che avrebbero dovuto rappresentare, agli occhi degli organizzatori, il volto della “nuova Europa” sotto il segno della svastica.
Con tanti sportivi maschi a fare i soldati al fronte, l’Italia butta sul palcoscenico le ragazze, chiamate a gareggiare e non solo a fare gli onori di casa (vedi l’immancabile saggio ginnico collettivo all’Arena Civica ed esibizione della squadra di pattinaggio a rotelle della GIL)1. Per quanto non ci sia una classifica per nazioni ufficiale, il fatto che la stampa sportiva di regime la presenti lo stesso ai lettori fa capire quanto i vertici sportivi italiani considerino importante vincerla, anche se (o, forse, proprio perché) i concorrenti più temibili sono gli alleati tedeschi. E alla fine l’Italia riuscirà nell’impresa, anche grazie ai successi «in atletica, ciclismo e tennis maschili e nel tennis femminile»2.
Nelle gare di atletica leggera femminile punti preziosi vengono portati a casa da una delle promesse della Nazionale azzurra, già capace nel 1939 di battere Ondina Valla: la diciottenne torinese Elda Franco. Seconda negli 80m ostacoli (12’’ 3/10), Elda stacca di ben 10 cm nel salto in lungo le tedesche Misere ed Hedderich (5,49m, la sua misura). Si laurea così campionessa europea o, almeno, così sostiene il quotidiano sportivo Il Littoriale, ragionando già nell’ottica della “nuova Europa”3. Nelle foto dell’Istituto Luce rivediamo una giovanissima Elda, ancora assorta, compiere il saluto romano d’ordinanza sul podio a numeri romani, col suo bel numero 48 attaccato sul ventre per non coprire la scritta ITALIA sul petto.
Quello che non possono certo sospettare i ministri Ricci (Italia) e von Plessen (Germania), il presidente del CONI Manganiello e il vicepresidente del PNF Ravasio, tutti quanti seduti in tribuna all’Arena Civica,, è che fine farà quella ragazza da lì a poco, una volta tornata a Torino.
L’estate del 1943 mette gli Italiani con le spalle al muro: dopo vent’anni di consenso più o meno forzato, di zone grigie e di tentennamenti, tutti devono decidere da che parte stare, se seguire Mussolini nell’oscura avventura finale di Salò o se imbracciare le armi per resistere al tedesco invasore e ai suoi complici fascisti. Elda, che fa l’impiegata alla SIP, che attraverso l’atletica ha imparato a conoscere il valore del proprio corpo e che ha potuto godere di un’educazione molto più libera di tante sue coetanee (il padre Damiano, campione locale della salita Sassi-Superga, le ha anche insegnato come andare in motocicletta), sceglie la seconda strada: brigata SAP “Mingione”, distaccamento “Arduino”, nome di battaglia Sonia4. Quelle veloci gambe che a Milano si erano alzate per superare gli ostacoli o per volare sulla lunga sabbiera, le mette al servizio della Resistenza, diventando staffetta partigiana nella Torino che lotterà fino agli ultimi giorni dell’aprile 1945 per riconquistare la propria libertà5.