Speciale 25 aprile: donne, sportive, partigiane. 1° puntata
Solo di recente la storiografia ha cominciato a occuparsi del rilevante contributo dato dalle donne alla Resistenza contro il nazifascismo e del perché questa parte della Storia sia stata rimossa dalle cronache ufficiali. Ma quante di queste donne che seppero “scegliere la parte” avevano sperimentato prime forme di indipendenza e presa di coscienza attraverso la partecipazione ad attività sportive, osteggiate o incoraggiate dal regime che fossero?
Milano, primi mesi del 1933. Le sorelle Boccalini scalpitano come sempre sui gelidi spalti di pietra dell’Arena Civica, mentre seguono le gesta del Balilla Giuseppe Meazza. È una passione che accomuna la già sposata Giovanna, maestra e madre di Grazia e di Giacomo (chiamato così in onore di Matteotti), e le tre sorelle ancora nubili, Luisa, Marta e Rosetta, la più piccola, ancora sedicenne. Poi qualcuna, nel loro giro di amiche – forse Ninì Zanetti, anch’essa supporter nerazzurra? -, ha l’idea che le proietterà nella storia del calcio italiano, fino a quel momento esclusiva maschile:
E se giocassimo anche noi? E se scendessimo anche noi su quel campo e mostrassimo che il calcio è anche un sport per signorine?
È così che le tre “signorine” di casa Boccalini e una trentina di loro amiche annunciano alla stampa sportiva nazionale la nascita del Gruppo Femminile Calcistico (GFC), prima squadra di football femminile del Belpaese: Giovanna, già sposata, accetta di aiutarle da bordo campo, come team manager. Una bella realtà sportiva, fatta di coraggio e soprattutto d’intelligenza, che, purtroppo, durerà solo qualche mese. Ben presto il nuovo padrone del CONI fascistizzato, il Segretario del PNF Achille Starace, farà terra bruciata attorno alle ragazze milanesi e condannerà la loro esperienza all’oblio per ottanta anni e più. 1
Il ricordo di una quella vera e propria impresa collettiva, che è stata il GFC, non si estingue, però, con la disgregazione della squadra e accompagna le sorelle Boccalini per tutto il decennio successivo. Fino a quel fatidico 1943, anno in cui tutti gli equilibri, i silenzi e i letarghi politici, necessari per sopravvivere nell’Italia littoria, saltano tutto d’un tratto.
Rosetta, che ha continuato a fare sport e, con la maglia nerazzurra dell’Ambrosiana, ha vinto tre titoli italiani di pallacanestro a fine anni Trenta, è anche quella costretta a tenere un profilo più basso, causa la sua nota amicizia con lo scultore Ettore Archinti, ex sindaco socialista di Lodi (città natale delle Boccalini).
Marta, la più timida, sarta in gioventù e ora impiegata al Comune di Milano, diffonde, invece, volantini antifascisti che le consegna proprio Archinti. Anche Giovanna ha messo la sua abitazione a disposizione della rete di aiuto ideata dallo scultore lodigiano per portare al confine svizzero prigionieri di guerra alleati ed ebrei. 2. L’impegno in prima persona della ex team manager del GFC va, però, oltre: straziata dalla morte improvvisa del figlio Giacomo, decide di rompere gli indugi, entra nel PCI clandestino e fonda assieme ad altre partigiane i Gruppi di Difesa della Donna3.
Nella foto in evidenza: Milano, 1933. In piedi, da sinistra: Marta Boccalini; Luisa “Gina” Boccalini; Giovanna Boccalini Barcellona; Elia Marigliani Barcellona (moglie del fratello di Giuseppe Barcellona, ossia il marito di Giovanna). Seconda fila: Giacomo “Popi” Barcellona; Grazia Barcellona; Rosetta Boccalini.
Fonte: Archivio privato Rosa Mottino