Di calcio femminile, della sua marginalità all’interno del panorama italiano e delle possibili trasformazioni che stava vivendo avevamo cominciato a parlare da un po’. Così, accanto ai post sui social in corrispondenza dei purtroppo immancabili e periodici insulti rivolti a calciatrici, arbitre o procuratrici, avevamo posto all’attenzione dei nostri lettori il percorso vittorioso che la Nazionale italiana stava seguendo nelle Qualificazioni al Mondiale nel silenzio generale dei media mainstream o gli aspetti positivi e quelli negativi che stava portando con sé lo sbarco dei grandi club nella Serie A. Senza trascurare, come nostra abitudine, incursioni nella storia. Ma al netto del nostro interesse per l’importanza sociale e culturale che si avrebbe se si desse maggior spazio al calcio femminile, al netto di qualche libro e di qualche intervista letta e, soprattutto, al netto delle non molte partite viste, non sentivamo di avere le conoscenze sufficienti per affrontare la fase finale del Mondiale di calcio, che si avvicinava sempre di più, con la stessa naturalezza con cui, ad esempio, avevamo affrontato Brasile 2014. Un mesetto di partite non sono certo bastate a colmare il gap, ma intanto un po’ di considerazioni tecniche, statistiche e ovviamente politiche (nel senso pieno del termine) vogliamo buttarle giù, rimandandovi anche alla puntata de La Fascia Sinistra che abbiamo registrato ad hoc.
A differenza del solito, abbiamo diviso il tutto in paragrafi che appariranno cliccando sul titolo. Buona navigazione.
Le squadre ammesse alla fase finale della Coppa del Mondo sono state 24, così suddivise per confederazione: nove dall’UEFA -tra cui la Francia organizzatrice-, tre dalla CAF, altrettante provenienti dalla CONMEBOL e dalla CONCACAF, cinque dalla AFC (Australia compresa) e una dalla OFC. Se consideriamo che nell’ultimo Mondiale maschile a 24 squadre, USA 1994, c’erano ben 14 squadre europee, il minor peso storico dell’UEFA nel movimento femminile appare evidente. Ad ogni modo, Stati Uniti a parte, ai quarti sono giunte solo compagini provenienti dal vecchio continente.
Interessante anche analizzare le panchine. Delle 24 finaliste, nove di esse sono state guidate da una allenatrice (il 37.5%), le restanti quindici da un allenatore. La percentuale delle squadre con in panchina donne è diventata, però, del 62.5% all’atezza dei quarti, quasi a sottolineare come si incontrino in media più donne ct lì dove il calcio femminile ha una più lunga tradizione.
A parte la nostra Milena Bertolini, hanno infatti raggiunto i quarti Corinne Diacre per la Francia, Jillian Ellis per gli Stati Uniti, Marina Voss-Teklenburg per la Germania e Sarina Wiegman per Olanda campione d’Europa in carica. Il Giappone è stata l’unica nazionale guidata da un’allenatrice a uscire agli ottavi, mentre le altre compagini condotte da una selezionatrice -Sudafrica, Scozia e Thailandia- non hanno passato il girone di qualificazione.
Delle cinque ct citate la britannica Ellis è l’unica a non aver giocato ad allto livello: dopo aver seguito tutta la trafila nelle Nazionali statunitensi giovanili, dal 2014 guida la Nazionale maggiore. Ha già il Mondiale 2015 all’attivo, pronta a bissarlo nella sfida di Lione del 7 luglio che la vedrà opposta alla Wiegmann. Benché gli USA rappresentino il meglio del calcio al femminile, non deve comunque sorprendere che dal 2008 hanno una allenatrice o un allenatore europeo: come ha spiegato nel corso della telecronaca della semifinale tra Stati Uniti e Inghilterra l’ex azzurra Patrizia Panico, ora allenatrice dell’Italia maschile Under 15, i coach americani sono più che altro motivatori e curano poco gli aspetti tattici. Ergo, in un mondo come quello del calcio femminile che si andava via via più professionalizzando, gli USA si sono dovuti affidare a tecnici di formazione europea per riprenderne la vetta.
Sulla panchina inglese siede, invece, Phil Neville. Dopo quindici anni di conduzione tecnica affidata all’ex calciatrice Hope Powell, nel 2013 la federazione decise di affidarsi al gallese Sampson, che, condotte le Lioness fino alle semifinali nel Mondiale canadese del 2015, dovette abbandonare a fine 2017 per «molestie e comportamento inadeguato nei confronti delle calciatrici». A sostituirlo fu chiamato così Neville, solo per il nome, a giudicare dalla precedente scarsa esperienza accumulata da tecnico. Nel suo libro La prima punta Carolina Morace racconta come non solo la federazione inglese scartò la sua e altre candidature femminili, ma come l’ex terzino di Manchester United ed Everton nel 2012 avesse postato dei tweet che parlavano di donne calciatrici che dovevano dedicarsi alla colazione e a rifare i letti e non a reclamare ipocritamente l’uguaglianza, tweet opportunamente tirati fuori dalla stampa a nomina appena avvenuta…
Lasciamo la chiusura sulla questione alla Panico. Nella già citata telecronaca della semifinale tra inglesi e statunitensi, la commentatrice Tiziana Alla spiegava come «[Neville] in questo periodo è stato sempre attento a misurare le parole su qualsiasi argomento e questo lo ha fatto apprezzare dopo che al momento della sua nomina la stampa aveva tirato fuori dei tweet che aveva fatto in precedenza, sessisti. Si è scusato e da allora è attento a quello che dice, non vuole scivolare…» Al che la Panico ha osservato:
Ma sai se non le pensi certe cose, alla fine fai fatica a scivolare
Nel 1991 il primo Mondiale di calcio femminile è diretto quasi esclusivamente da arbitri maschili, tra cui il terribile colombiano Toro Rendon che si abbatterà come un ciclone in una innocente Danimarca-Sud Africa a Francia 1998. Solo la finalina tra Svezia e Germania è affidata a una donna, la brasiliana Claudia Vasconcelos. Quattro anni dopo la UEFA e le confederazioni americane mandano un buon numero di direttrici di gara e così la svedese Ingrid Jonsson, una delle sei “lines-woman” ad aver partecipato anche al primo Mondiale, diventa la prima arbitra a dirigere la finale di una Coppa del Mondo FIFA.
Nel 1998, a un anno di distanza dalla disputa del terzo Mondiale, una direttiva FIFA impone di usare solo arbitre nella imminente fase finale della competizione. Vengono selezionate 31 tra direttrici di gara e assistenti, provenienti da tutte le confederazioni. Davanti alle 90mila persone che riempiono il Rose Bowl di Pasadena e ai 18 milioni di spettatori alla TV la svizzera Nicole Perignat dirige la finale tra USA e Cina. Una curiosità: la partita scatta all’una -nonostante non ci siano squadre europee-, i supplementari si concludono a reti inviolate e viene decisa ai rigori.
Nel 2007 abbiamo finalmente una italiana. È l’assistente Cristina Cini, che a fine campionato 2002/03 aveva fatto il suo esordio nella Serie A degli uomini coadiuvando nella direzione di uno Juventus-Chievo l’attuale commentatore Rai Tiziano Pieri. La Cini partecipa anche ai Mondiali del 2011. Nel 2015 è invece la volta di Carina Vitulano, unica arbitra FIGC ad aver finora diretto partite ai Mondiali femminili. Due, tra cui il quarto di finale tra USA e Cina.
Quest’anno in Francia ci sono ovviamente solo direttrici di gara, ma l’introduzione del VAR ha riportato almeno per ora la presenza maschile. Tra l’altro, sono maschi e stanno alla VAR gli unici rappresentanti italiani: Irrati e Valeri.
Gli inviti a ricontrollare l’accaduto al video fatti alle arbitre da parte degli assistenti al VAR sono stati a volte colti con troppa inspiegabile solerzia, ma non ci sentiamo di ricondurre il tutto solo ed esclusivamente a una subalternità della direttrice donna al controllore maschio. Va, infatti, sottolineato come il VAR sia una novità per quasi tutte le direttrici e come, proprio alla vigilia del Mondiale francese siano state introdotte alcune modifiche al regolamento che hanno potenziato l’importanza dei video-controllori.
L’Italia di Milena Bertolini ha giocato bene. Questa osservazione apparentemente banale spiega perché la maggior parte di coloro che anche per semplice curiosità si sono avvicinati alle azzurre hanno finito per appassionarsi e seguirle fino in fondo. Buona organizzazione di gioco, idee chiare, ricerca della profondità, ma anche voglia di lottare su ogni pallone e tanta coesione. Il tutto poi condito da buone individualità, vedi Bonansea e Giugliano, e da alcuni gesti tecnici, quelli di Aurora Galli in primis, che hanno mostrato apprezzabili qualità di base. Dopo questo Mondiale francese saranno in molti a pensare che, anche senza abbondanti dosi di testosterone distribuite sul terreno verde, si possa parlare di emozioni, suspense e gioia per una vittoria nel vedere un match di calcio.
L’impressione è che, molto più della strabordante fisicità che ha preso definitivamente piede nel calcio al maschile solo da una ventina d’anni, siano la diligenza e l’ordine in campo le cose che veramente distinguono ventidue persone che seguono un pallone da due squadre che giocano a calcio. E quanto fatto vedere dalla quasi totalità delle Nazionali viste all’opera in Francia mostra come, dal punto di vista dell’attenzione alla tattica, il movimento femminile sia già al top.
Più problemi se guardiamo alla pericolosità dei tiri effettuati e alla costruzione del gioco. Carolina Morace al termine del suo libro La prima punta sostiene che c’è molto da lavorare sulla tecnica. In particolare, ritiene che le bambine vengano allenate come se fossero maschietti e questo non permette di sviluppare al 100% le loro potenzialità in relazione a un gesto fondamentale come quello del tiro verso la porta che, aggiungiamo noi, dovrebbe cercare più la precisione che la potenza. Se lo dice lei, ci fidiamo.
Per ciò che, invece, riguarda l’altra criticità sollevata, anche le migliori compagini del lotto hanno mostrato difficoltà a creare azioni pericolose con una certa continuità, forse perché la più bassa velocità di base che hanno le giocatrici rispetto ai giocatori non permette di vedere con grande frequenza scambi veloci in grado di far saltare i vari livelli di pressing o di liberare gente sulle fasce. Fatte le dovute proporzioni, a volte si è avuta l’impressione di trovarsi di fronte a partite dell’Europeo maschile del 1996, quello in cui le squadre si specchiavano nel 4-4-2 e spesso si bloccavano a vicenda, quello in cui -è bene ricordarlo- il tre-quartista era fuori moda e la cosa più bella del mondo era il mediano, da cui il Pallone d’oro a Sammer.
Stati Uniti e Giappone le maggiori eccezioni. Le statunitensi per facilità di proporre schemi e geometrie, per l’aggressività messa in campo all’inizio al fine di pervenire subito al vantaggio (nelle prime sei partite ha sempre segnato nel primo quarto d’ora), sono sembrate le uniche in grado di tenere alto il ritmo per un tempo maggiore grazie ai tempi dettati da Lavelle a centrocampo e alla bravura delle varie Morgan, Rapinoe, Heath o Press in attacco. Anche se contro la Francia e ancor di più contro l’Inghilterra hanno tirato i remi in barca negli ultimi minuti per difendere il risicato vantaggio, riuscendo in un modo o nell’altro a cavarsela. Va detto comunque che le temperature tropicali registrate nelle ultime settimane hanno sicuramente influito sulla tenuta fisica di tutte le squadre, ma in particolare sembrano aver rallentato quelle maggiormente organizzate come gli USA.
Diverso il discorso per le Nadeshiko. Il cambio generazionale in atto ha forse impedito che la Nazionale campione nel 2011 e vicecampione nel 2015 andasse oltre gli ottavi, ma la loro capacità di generare gioco attraverso fittissimi passaggi è davvero impressionante. Tanto che, anche per la diversità del gioco proposto dalle squadre in campo, l’ottavo Giappone-Olanda è stata certamente la partita più bella cui abbiamo assistito.
Chiudiamo con qualche breve considerazione da neofiti. La Francia è sembrata troppo discontinua, spesso scollata e troppo aggrappata ai colpi di testa della gigante Renard. L’Inghilterra ha impressionato per semplicità ed efficacia del gioco proposto, che ha esaltato il fiuto del gol di Ellen White, sempre a segno tranne che contro l’Argentina, partita in cui era assente, e contro la Svezia, quando il VAR per un discutibile fallo di mano ha invitato l’arbitra ad annullare una sua bellissima rete. Però, se contro gli USA non si sfruttano le occasioni e si sprecano rigori concessi da un invadente VAR, poi arrivare in finale è impossibile. L’Olanda, infine, è sembrata la squadra fisicamente meglio messa di tutte, anche se spesso lascia scoperta la sua linea di difesa nella quale ha svettato Van der Gragt, giustiziera dell’Italia. Tra le olandesi ci sono, poi, due giocatrici che interpretano il rispettivo ruolo in maniera modernissima e possono creare i pressuposti per sviluppare -in futuro- un gioco più veloce: la diga Spitze e la nueve, vera o falsa a seconda delle occasioni, Miedema.
In una intervista concessa prima dell’inizio del Mondiale, Nicola Sbetti spiegava perché fosse errata la percezione tutta italiana che il calcio femminile con il Mondiale 2019 stesse svoltando: già a partire dalle Olimpiadi di Atlanta del 1996 negli Stati Uniti e poi all’inizio del nuovo millennio in Europa il football versione women muoveva spettatori, spettatrici e, quindi, interessi.
Francia 2019 ha dato idea almeno in due occasioni di quale clamore e di quale ricaduta a livello mediatico possano avere episodi legati al Mondiale femminile.
In entrambi i casi ci sono di mezzo gli Stati Uniti. Il primo riguarda l’attaccante Megan Rapinoe, che già nel 2016 era salita alla ribalta perché prima sportiva americana non di colore a inginocchiarsi durante l’inno per supportare la battaglia portata avanti da Colin Kaepernick in primis. Per sottolineare come le politiche dell’attuale inquilino della Casa Bianca non vadano nella direzione dell’eliminazione delle disuguaglianze e dell’allargamento dei diritti, Megan -che è anche attivista LGBTQ-, si è rifiutata di cantare l’inno e di porre la mano sul cuore durante l’esecuzione sin dalle partite del girone di qualificazione. A una domanda esplicita, la Rapinoe ha risposto che non si recherà «to the Fucking White House» se il presidente inviterà la squadra Nazionale a Mondiale concluso.
Trump a quel punto ha twittato con la solita rabbia e la solita retorica che, prima di parlare, l’attaccante USA avrebbe dovuto pensare a fare il suo dovere e così… Megan ha segnato contro la Spagna agli ottavi e contro la Francia ai quarti i due gol che hanno permesso alla sua squadra di andare avanti. Poi contro l’Inghilterra, in semifinale, la Ellis l’ha lasciata in panca…
Proprio nel match contro le Lioness inglesi l’altro caso mediatico. La cannoniera Alice Morgan, dopo aver siglato il 2-1 che si rivelerà vincente, fa il gesto del bere una tazza di thé. È il 2 luglio e, come ancor meglio chiarisce un successivo tweet, il richiamo è alla Guerra di Indipendenza americana e alla vittoria contro l’Impero Britannico. Seguono proteste per il «gesto irrispettoso», tra cui quelle della Sanderson, centrocampista della Juventus non presente però al Mondiale e tentativi di interpretare il tutto da parte, ad esempio, del Guardian.
Partiamo dalle immagini e dalle parole, perché sono quelle che restano e che in futuro potranno essere facilmente riprese e condivise. Tra le immagini ecco la Rosucci fare l’autografo sulla maglietta di un tifoso che ha la maglietta della giocatrice della Juventus oppure la Bertolini, tutte le ragazze della rosa e tutti i componenti lo staff, maschi e femmine, abbracciarsi in cerchio in campo dopo la sconfitta subita dall’Olanda in un gesto che comunica l’unità del gruppo al di là di ruoli e genere.
Tra le parole, scegliamo l’incipit della lettera che la capitana Sara Gama ha letto il 4 luglio, quando la Nazionale femminile è stata ricevuta al Quirinale dal Presidente della Repubblica Mattarella:
Una lettera per spiegare il nostro Mondiale: esaltante, estenuante, elettrizzante, emendabile, educativo, euforico. Eloquente come un bravo oratore che usa le parole per catturare il suo pubblico
Già, come un bravo oratore… La Gama e tutte le sue compagne sanno che la vera lotta che hanno intrapreso è solo all’inizio. Una lotta perché il calcio femminile possa essere considerato una professione al pari di quello maschile. Che non vuol dire ingaggi principeschi o contratti faraonici, ma innanzitutto possibilità di pensare all’attività sportiva come al proprio lavoro, alla propria fonte di sostentamento; la possibilità di potersi allenare tutti i giorni senza dover per forza chiamare in causa le forze dell’ordine e i loro gruppi sportivi per mascherare il tutto con l’amateurismo.
Non sappiamo cosa accadrà in futuro, come e se le richieste delle azzurre troveranno applicazione. Del resto il paradosso di non avere modelli di sviluppo diversi da quello proposto dal calcio maschile lo avevamo già messo in evidenza mesi fa. Di sicuro qualcosa di “importante” è già successo: la Gama è diventata testimonial per Nike, azienda che fa del brand activism una scelta commerciale, e un po’ di ragazze della Nazionale hanno già cominciato ad avere problemi di forfora come Buffon, Pirlo, Marchisio e la Pellegrini.
Ultima giornata del girone D. Conti alla mano se Argentina e Scozia vogliono sperare di essere ripescate tra le quattro migliori terze non possono permettersi di pareggiare nello scontro diretto. Lo 0-0 raccolto dalle sudamericane nell’esordio contro il Giappone di fatto non le pone in vantaggio. Contro la Scozia bisogna vincere e zero gol fatti in 180′ non sono certo un buon viatico. Le scozzesi, invece, hanno perso due partite, ma un gol ciascuno a Inghilterra e Giappone lo hanno segnato.
Non è dunque sorprendente se a passare sono le britanniche al 19′, per l’occasione in maglia rosa. Dopo la rete aprighiaccio di Little, ne seguono altre due nella prima metà della ripresa: Beattie di testa e Cuthbert, riprendendo un pallone finito sul palo. Sembra fatta, ma le argentine trovano l’orgoglio e vanno finalmente in rete dopo 254′ di Mondiale. Il bello è che Menéndez fa gol in contropiede. Che siano maschi o donne in campo, la paura che prende la Scozia sul 3-1 è sempre la stessa e, inevitabilmente, porta al naufragio: al 79′ un tiro di Bonsegundo tocca la traversa, sbatte sulla schiena della portiera Alexander e va dentro; al minuto 86 un intervento in area dell’appena entrata Howard sulla Cometti viene lasciato correre dall’arbitra nord-coreana Ok Ri-Hyang, ma viene sanzionato dall’assistente al VAR. E così al minuto 90, mentre vengono annunciati quattro minuti di recupero, Bonsegundo si presenta sul dischetto. Alexander però riscatta il precedente errore e tiene la Scozia agli ottavi. Senonché… l’ineffabile VAR scopre che la scozzese non aveva piedi sulla linea al momento del tiro e allora, in base al nuovo regolamento, il rigore si ripete e c’è anche un giallo per la numero uno britannica. Bonsegundo stavolta segna e così Argentina e Scozia sono sul 3-3 al terzo minuto di recupero! Perfettamente eliminate entrambe. Però negli ultimi sette minuti non si è praticamente giocato e, quindi, tutte le 22 in campo confidano in un lungo recupero del recupero per cercare un salvifico 4-3. E, invece, no. Ok Ri-Hyang fischia poco dopo lasciando tutte nella più assoluta disperazione.
Segue appello su change.org affinché il cronometro venga fermato nel momento in cui il VAR invita alla revisione al video.