Negli ultimi tempi stiamo innegabilmente assistendo a un inasprimento del dibattito medio. Tutte le posizioni si sono radicalizzate (anche le nostre, ammettiamo) e molto probabilmente la causa scatenante è la crescente xenofobia, la paura e l’avversione verso ciò che si percepisce come “diverso” – perché del resto la Storia ci insegna quanto sia comodo individuare un capro espiatorio da incolpare perché non si trova lavoro o perché non si arriva a fine mese.
Complice anche lo sdoganamento del neofascismo più o meno esplicito (vedi le varie comparsate dei dirigenti di Casa Pound nei talk show in quanto forza “democratica” che si presenta alle elezioni, o la normalizzazione di un mostro come Salvini in programmi tv quali Alla Lavagna in cui i bambini gli chiedono cosa sia il “sovranismo”), non solo è aumentato il grado di discriminazione verso ogni “diversità” percepita come tale, ma tutti si sentono liberi di vomitare impunemente questo odio ovunque, nei social network come nella vita reale.
Tutti gli ambiti sono permeati da questo inasprimento. In quello calcistico, la polarizzazione delle opinioni scaturisce anche dalla rilevanza mediatica che hanno le non notizie, che magari una volta si limitavano a invenzioni di calciomercato per vendere i giornali anche d’estate e che invece ora si concentrano sul clickbait pieno di gallerie fotografiche della moglie o della fidanzata del giocatore X in abiti succinti. E infatti nel mondo del calcio o, più precisamente, dell’informazione sportiva, da un lato si continua a condannare il razzismo (anche per la retorica di FIFA e UEFA sull’argomento), mentre dall’altro vengono calpestati decenni di progressi a livello di parità di genere e di “tolleranza” verso un orientamento sessuale diverso dal proprio. D’altronde non è certo un segreto che l’omosessualità sia il grande tabù del calcio mondiale, come se non esistesse. L’immagine del calciatore è quella del maschio alfa che si contende le femmine a cornate durante la stagione degli accoppiamenti, il bomber (nella becera accezione social del termine) che fa collezione di donne, o meglio di oggetti sessuali.
Le donne, appunto, è qui che vogliamo arrivare. Perché negli ultimi mesi gli episodi di sessismo, direttamente o indirettamente afferenti al mondo del calcio, sembrano essere decisamente aumentati. Se, da un lato, il movimento del calcio femminile sta iniziando ad acquisire interesse (complice anche la brillante qualificazione ai Mondiali delle azzurre), pur continuando a essere discriminato anche dall’alto visto che le calciatrici sono ancora dilettanti, e pur al netto della volontà di metterlo a profitto (abbiamo parlato di calcio femminile e delle sue criticità in questo podcast), dall’altro il mondo del calcio rimane estremamente misogino. Nel giro di pochi giorni, a febbraio, abbiamo assistito a una serie di nefasti eventi che riassumiamo per chi se li fosse persi: uno “scherzo” de Le Iene a Lorenzo Insigne in cui il capitano del Napoli, simbolo della città, ha palesato un atteggiamento estremamente maschilista e possessivo nei confronti della moglie, il tutto montato ad arte per far sì che risulti goliardico, una burla, una cosa normale. No? Mica violenza domestica… Poi abbiamo assistito a un’intervista praticamente a tradimento, sempre de Le Iene (oh, che ridere), alla madre di Zaniolo, in cui le sono state fatte domande estremamente allusive («con lei parliamo di preliminari, misure e posizioni preferite. Ovviamente in tema calcistico» ahah che matti) poiché d’altronde è “la milf più cliccata d’Italia”. Last but not least, abbiamo dovuto sentire l’ex campione del mondo Fulvio Collovati affermare che gli si rivolta lo stomaco quando sente le donne parlare di tattica perché le donne di tattica non capiscono niente e sua moglie non si è mai permessa (sic) di parlare di tattica con lui.
Tutto ciò dice molto sulla mascolinità tossica che pervade questo mondo e sul ruolo che ha la donna quando a vario titolo entra nell’universo-calcio. La prima cosa che balza all’occhio, tornando all’immagine animalesca delle cornate, è che sembra ci si trovi di fronte all’invasione di un territorio, prettamente maschile, in cui le donne non possono metter piede a meno che non facciano da figuranti, preferibilmente mezze nude. «Ci sono cose da donne (il corso di danza, l’attenzione psicologica, l’alimentazione alternativa, gli agriturismi) e cose da uomini (il metal, le moto, birra e würstel e appunto il calcio)», scriveva Luca Beatrice prima della finale di Supercoppa italiana giocata in Arabia Saudita (abbiamo parlato anche di questo), a proposito di sentirsi liberi di vomitare schifezze impunemente. «Per carità, niente sessismo», aggiungeva. Ma no, ma ti pare.
In questo senso è particolarmente significativo il caso Wanda Nara, dato che, oltre a essere onnipresente nelle suddette gallerie fotografiche che inquinano le homepage dei quotidiani sportivi e a generare sempre livelli fuori scala di bomberismo, è diventata anche procuratrice di suo marito Mauro Icardi. E ben ricordiamo che appena assunse questo ruolo i simpaticissimi bomberoni la invitarono a restare a casa a lavare e stirare. Perché, come ha giustamente fatto notare Daniele Manusia nella sua ottima analisi, al netto di tutto quello che si può dire rispetto a come stia gestendo il rapporto tra il suo assistito e la squadra in cui milita, c’è un oggettivo squilibrio di reazioni dovuto proprio al fatto che sia una donna. Mino Raiola, probabilmente il paradigma dello spietato procuratore che non guarda in faccia a nessuno pur di muovere la maggior quantità possibile di soldi, è mai stato trattato così? È stato insultato con questi toni? È mai stata invasa la sua sfera personale? Rispondiamo noi: no. E anche parlando della questione Donnarumma, che l’estate scorsa è stata al centro dell’attenzione nei quotidiani sportivi e non, citando sempre Manusia possiamo affermare che «l’opinione comune è che Raiola magari sarà pure un avido manipolatore, ma in fondo sta facendo il suo lavoro». Lui sta solo facendo il suo lavoro, Wanda invece fa un lavoro che non dovrebbe fare, in sintesi, in gran parte perché è donna. Tra l’altro in quei succitati giorni di febbraio Billy Costacurta, opinionista di Sky nonché vicepresidente della FIGC nonché marito di Martina Colombari (candidata ai vertici del calcio femminile, mettiamo di nuovo il link al podcast di cui sopra dato che abbiamo parlato anche di lei), ha sentenziato che se fosse stato al posto di Icardi avrebbe cacciato di casa la moglie.
In un “territorio” così sessista e patriarcale è quindi normalissimo che Collovati si senta libero di esternare le proprie posizioni, ed è altrettanto normale che arrivino altri a rincarare la dose. Prendiamo l’articolo di Giancarlo Dotto apparso sul Corriere dello Sport il 19 febbraio1, dal titolo Eppure è un omaggio alla donna (sic), in cui si legge che «una donna, ma diciamola femmina, che parla di calcio, non mi rivolta lo stomaco, smette di esistere l’attimo stesso in cui lo fa. Ma non perché sia inadeguata e blateri sfondoni, come insinua maldestro Collovati. Smette di esistere quanto più è adeguata, quando ne parla in modo credibile e ti sorprendi a pensare “Toh, è più brava di Beppe Bergomi”. Lì mi diventa insopportabile. Arrivo a detestarla (…) Non potrei mai fare sesso e meno che mai amor cortese con una femmina che il calcio parlato lo fa di mestiere». Non c’è bisogno di commentare il virgolettato, parla da sé: «Becero maschilismo diranno, direte. Sbagliando di grosso». dice lui. Certo. Ma è interessante notare, come giustamente scritto a riguardo da Iris Pase su NewsMavens, che «questi argomenti richiamano tempi passati, quando le donne ottenevano il diritto di voto, si iscrivevano alle università o iniziavano a svolgere lavori altamente qualificati e ben pagati. Ognuno di questi passi è stato seguito da proteste di alcuni uomini che si sentivano “derubati” di qualcosa che apparteneva loro di diritto, e non alle donne a cui in precedenza erano stati negati gli stessi diritti e opportunità.»
Un’ulteriore riflessione, ahinoi, va inevitabilmente riservata allo stupro di cui è accusato Cristiano Ronaldo, o meglio alle reazioni che ha scaturito. Intanto, anche se non è questa la sede in cui celebrare un processo, vale la pena premettere che, come emerso dall’inchiesta di Der Spiegel, ci sono documenti che dimostrano la non consensualità del rapporto consumatosi quella notte di giugno del 2009 tra il campione portoghese e Kathryn Mayorga, come ci sono documenti che attestano la somma ricevuta (375.000 dollari) dalla ragazza per tacere a riguardo. Giusto per enfatizzare la surrealtà di ciò che seguirà.
.@Cristiano Ronaldo ha dimostrato in questi mesi la sua grande professionalità e serietà, apprezzata da tutti alla Juventus. 1/1
— JuventusFC (@juventusfc) 4 ottobre 2018
Le vicende asseritamente risalenti a quasi 10 anni fa, non modificano questa opinione, condivisa da chiunque sia entrato in contatto con questo grande campione 2/2
— JuventusFC (@juventusfc) 4 ottobre 2018
A partire da questa dichiarazione ufficiale della Juventus, che definisce Ronaldo un grande professionista (come se il merito sportivo escludesse tutto il resto) e liquida velocemente la questione con il secondo raccapricciante tweet: «le vicende asseritamente risalenti a quasi 10 anni fa, non modificano questa opinione, condivisa da chiunque sia entrato in contatto con questo grande campione». Cioè -interpretiamo- non è che pone dubbi sulla veridicità dell’accusa, non nega che sia successo, dice che anche se Ronaldo avesse stuprato una ragazza dieci anni fa, l’opinione su di lui -serio professionista- non cambierebbe. Incredibile. Ma passiamo a una breve rassegna stampa, tra il titolone «CRSEX» del (solito) Corriere dello Sport, (che praticamente lascia intendere che sesso e stupro siano sinonimi), i commenti “di parte” tipo i titoli di Tuttosport «Più forte del fango» o «Giù le mani da CR7», si arriva alle dichiarazioni di Mughini al limite del delirio: non fu uno stupro, ma un semplice rapporto non consenziente. Ok.
L’immagine che esce fuori è che Cristiano Ronaldo sia intoccabile, in quanto il calciatore più forte in attività, ma anche per il tipo di reato di cui è accusato. Questo e tanti altri casi ci possono far tranquillamente affermare che viviamo in una cultura dello stupro2, in cui la violenza di genere è cosa normale (una notizia fresca: si possono commettere femminicidi per «tempesta emotiva», un’attenuante), ogni volta che avvengono stupri o molestie entra in gioco il cosiddetto victim blaming a suon di “eh ma la gonna era corta”, “eh ma era ubriaca”, riassunto: se l’è cercata. Un ribaltamento dei ruoli. A meno che, ovviamente, a commettere l’atto non sia un immigrato, lì non ci sono dubbi sulla sua colpevolezza e di certo viene meno il cameratismo da maschio alfa che sotto sotto un po’ solidarizza con lo stupratore.
Siamo d’accordo con Giulia Trincardi, «questo è il macro-contesto che dobbiamo riconoscere per poter parlare delle presenti tematiche in modo sensato: è da circa cento anni che i ruoli di genere tradizionali subiscono una picconata dopo l’altra, cosa che, da un lato, ci sta faticosamente e finalmente portando a una società più equa—pensate alla legalizzazione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso avvenuta quest’anno [l’articolo risale al 2016] in tantissimi paesi, per dirne una— dall’altro comporta tutta una serie di risacche reazionarie secondo cui la rivoluzione dei generi sarebbe alla base di ogni male sociale, e che reiterano discorsi sessisti radicati più profondamente di quanto ci piace pensare. Queste risacche sono giustificate dal fatto che determinati stereotipi, per quanto possano essere stati criticati, sono tutt’altro che superati. La corrente di pensiero che 40 anni fa ha teorizzato l’esistenza di una cultura dello stupro sostiene che la nostra sia ancora una società in cui il rispetto dovuto a un uomo è direttamente proporzionale alla sua forza e alla sua aggressività sessuale e personale, mentre per le donne è doveroso essere remissive, sia sessualmente che socialmente».
Come uscire da una situazione del genere? All’interno del calcio, per l’immagine della donna molto possono fare le calciatrici e le associazioni che le supportano, purché agiscano culturalmente oltre che sportivamente. Ma non possiamo addossare loro questa responsabilità, perché i cambiamenti vengono dal basso, dai movimenti come Non Una di Meno, dallo sciopero globale transfemminista. La colpa, però, non dimentichiamolo, è di noi maschietti, quindi iniziamo anche noi a fare qualcosa. È ora.